lunedì 28 settembre 2009

Ancora il tempo

ancora il tempo correva sulle lancette dell’orologio
quando si svegliò a trent’anni
e il sole
non pareva lo stesso
e l’estate
ormai alle porte
cambiava i colori del cielo
ancora e ancora
come dieci anni prima
eppure l’odore
dell’aria
era un altro

traversando a lunghi passi le strade
cercava di figurarsi i volti di ognuna
di quelle ragazze

se ancora potessimo salvarci dalle polveri fini del tempo
se ancora ciò che cresce
potesse aprirci un varco verso chissà dove
se ancora oltre il libro potessimo cominciare a vedere
se ancora
il nostro secolo
si volgesse al sereno
allora
solo allora
il tuo sguardo
mutato in cenere
risalirebbe le chine di questa distanza
esploderebbe di cornici floreali sui freddi deserti
abbandonerebbe la risacca
per lasciarsi
un’ultima volta
toccare

ora che il tempo
preme e molla entro tubi sigillati
di lampade neon
ora che l’azzurro non è
che il fioco pallore
di una stanza d’ospedale
ora che la tua pelle
profumata di mare
si fa velo
di fragili nebbie
tutto quello che ti dissi
una sera di maggio
pare poco
e questo
adesso
e poi ancora
scivola via pioggia
sui vetri


scivola via
senza che tu
ancora una volta
– l’ultima?–
possa nuovamente darmelo
a respirare

Era quello il tempo

Era quello il tempo
– lo confesso –
degli amori irrefrenati,
dei lampi d’occhi,
degli sguardi,
di noi intrecciati,
senza pensieri.

Era quello il tempo
– lo ricordi? –
della pura gioia
fisica
di corpi accesi
dei castighi
delle carte scoperte
in cui non c’erano né frasi né parole ma solo
lingue e mani e labbra
sudore – era estate dopotutto –

Era quello il tempo in cui Stan
ancora suonava
una bossanova disincantata
da stomaci forti
mentre lontano inseguiva
– certo, senza rendersi conto –
l’ultimo baluardo di una chiave di violino
stesa sull’ardente brace
di una sigaretta

Era quello un buon tempo per noi
– che buffo ripensarci, ancora eravamo noi –
di messaggi provocanti e di poche parole
di vino bianco ghiacciato e di philipps morris super leggere
erano le bionde sere in cui
guardandoti camminare nuda
verso la porta del bagno
tutto ancora poteva sembrarmi
– e ancora, ancora ti giuro, lo vorrei –
un prodigio.

Era quello il tempo di spiagge bianche e rocce scoscese
acque chiare
era il tempo di annegare
– quante volte mi sono perso nel colore dei tuoi occhi, che tu certo non amavi –
della neve a Vienna
di quel sole e di quel cielo che pungeva i nostri volti tra le calli di Venice (Italy)
e poi
il Natale dai lunghi capelli e rossi che
– ti ricordi quella sera? –
ti vergognavi a mostrare e tenevi
ben stretti
in un cappello di lana.
Solo ora capisco che certo
non avevi torto;
avrei fatto bene anch’io
a darci un occhio
che un giorno
– come potevo soltanto, dico, immaginarlo, in quel tempo che sembrava infinito? –
sarebbero scomparsi di colpo
e avrei dovuto
volente o nolente
ripercorrerne mille e mille volte le incredibili volute e gli improvvisi
cambi di luce.
Era quello il tempo
delle traiettorie che osservavamo da vicino
troppo, troppo vicino per poterne decifrare
anche solo prevedere
in una mano di tarocchi, tirata giù per gioco,
gli esiti ultimi.

Soltanto adesso
– tardi, troppo tardi, in ritardissimo come mille
e mille volte mi hai detto –
solo adesso
che la tua psicologa dispensa consigli sul tuo stretto
personale
solo adesso che tu
mostri segni sul corpo di un dolore che non
mi riguarda per niente
solo adesso che l’estate esita
– anch’io esitai e non fu sempre per un mio colpo d’ali –
torno a stornare la tua immagine tra mille
rigiro tra le mani gli infiniti universi possibili
e alternativi
e mi scopro
in questo infinito desiderio
ogni volta che i Gotan mi suggeriscono
un altro
sempre più stanco
passo di tango.

Vermeriane figure

vermeriane figure e coni d’ombra
illusioni geometriche
invadono il piano di mistiche orali
l’inferno
– questo è certo –
marcia sempre
di bocca in bocca

dietro una coltre di parole si annida
pensoso:
che cosa?

mezzogiorni di un fauno con leggerezza
annegati in
mezzochilo di caffè

la porta
che è ogni
dischiusa
porta
socchiude un controcanto di suoni
gutturali

oggi
senza né giorno né notte
ho imparato a vivere
il parallelismo di certe esistenze