mercoledì 25 febbraio 2009

Apocalisse e Creazione III


In passato sono stato ossessionato spesso dall’idea della perfezione, del compimento, del tutto torna; non concepivo che un attimo potesse passare senza essere vissuto pienamente, bruciato, arso al fuoco della vita piena. Solo ultimamente ho iniziato a comprendere che c’è dell’altro, della cenere che comunque rimane, sempre, la si voglia dimenticare oppure no.
Tentando di vivere l’immediatezza, nella pienezza della gioia che mi bruciava fino allo spasmo, fino al parossismo, pensavo che quella fosse l’unica vita possibile, il resto per me non era niente e non valeva il mio tempo.
Lungo quello stesso tempo, il mio, quello che mi ha portato fino ad oggi, ho capito che la cenere ha la stessa dignità del fuoco; ho capito che della cenere c’è e che non è fuori dalla mia portata, come fosse uno scarto, qualcosa che non mi riguarda, qualcosa che posso fingere di non vedere, dimenticare. Un po’ di cenere immersa in acqua è un nonnulla, si deposita sul fondo e rimane immobile inerte, eppure opacizza, sporca, contamina.
Non considerando la cenere, quel resto che non potevo né capire, né dominare, pensavo di poter vivere senza paura, esposto al pericolo del decidere di me ad ogni istante; pensavo di poter bruciare all’infinito, di non consumare ardendo, come acqua che è fuoco; ero sicuro di poter avere la veemenza del fuoco e la trasparenza dell’acqua, di poter essere insieme impulso e trasparenza scegliere.
Il fuoco mi attendeva, in ogni caso; mi attendeva non come fuoco astratto, solo pensato, ma come fiamma viva. Scegliere lucidamente non significa dominare gli eventi, decidere di sé ad ogni istante, come se fosse l’ultimo, significa spesso non fare i conti con la realtà, con i fatti bruti, con l’evento che ti sorprende per quanto è vero e reale, con quel qualcosa che c’è e ti si para di fronte, tu lo voglia o no, prima, dopo e nonostante te, i tuoi impulsi, le tue passioni.
La vita è l’impeto della fiamma e il suo calore, è la purezza e la trasparenza dell’acqua, della decisione lucida, ma è anche, senza che possa essere altrimenti, cenere, ciò che resta del fuoco, ciò che irrilevabile ai nostri calcoli, si impone allo sguardo e contamina le nostre pretese di giudicare in modo assoluto. Solo da poco capisco il valore della fatica, di quella vita che decisamente non è un film e non si risolve del resto in due ore o giù di lì. L’oggi mi troverà protagonista domani e le sue ceneri, che posso pur tentare di nascondere, non scompariranno. La sterilità della vita in genere, della mia esperienza esistenziale in certi momenti, la mancanza della potenza creativa certi giorni, sono parte di una vita, la mia come quella di ognuno, di cui non è calcolabile il compimento.
Per questo non si parla di filosofia, non si scrive di filosofia, ma si fa filosofia: la verità va fatta, e questo fare non significa creatio ex nihilo, bensì applicazione, sacrificio, abnegazione, fino anche all’annullamento di sé di alcuni momenti. Questo non per elogiare la sofferenza, per dire che la vita è sofferenza, ma per dire che la filia è un amore intermedio, che tende forse all’agape, ma è solo a partire dall’eros, e respira di tutti e due questi polmoni.
La vita è contraddittoria, ogni scelta è sempre esistenziale, mai semplicemente astratta, teorica. La vigilanza critica, la razionalità, l’analisi possono solo mostrare gli elementi in campo, ma la scelta sta ad ognuno, personalmente; non è mai una scelta "per sempre", ma si trova ogni volta esposta alla miseria, ai limiti, alla povertà dell’umano; ogni volta del resto la scelta è rivedibile, migliorabile, ampliabile, maggiormente comprensibile.
Per questo l’eccedenza, la pietra d’inciampo, non è che un monito, un segno che forse qualcosa può essere riconsiderato; in ogni caso la scelta di riconsiderare effettivamente l’impegno esistenziale è di ognuno, singolarissima e insostituibile: la vita altrui possiamo comprenderla ma non viverla. Possiamo compatire fino a prendere il posto dell’altro, a morire per l’altro, ma non possiamo soffrire la sua sofferenza.
Il compimento, una fine che non sia morte e consunzione, ma pienezza di vita, può essere solo sperata ogni volta, mai certa.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Come uno specchio leggo le tue parole, respiro il tuo fiato, io che non ho polmoni per emanare parole mie e mi riempio di pneuma altrui per sopra-vivere: a quando lo scoppio primordiale? A quando la raccolta/riconoscimento delle mie ceneri? Amico, aspetto un tuo cenno d'Affetto...